Il Comitato metropolitano per l’Audit del Debito

Audit sul debito, in Europa si fa così

di Salvatore Cannavò – IL MANIFESTO del 05 GENNAIO 2012

In Francia l’appello ha superato le 50 mila adesioni, in Belgio le associazioni Attac e Cadtm hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato contro i 54 miliardi per salvare la banca Dexia, in Grecia c’è un comitato attivo da un anno. Incontriamoci anche in Italia Articolo dopo articolo, grazie anche all’attenzione che il manifesto sta ponendo, la questione dell’audit sul debito pubblico, cioè l’indagine su come è stato formato il debito, come viene gestito, quali interessi soddisfa e quali bisogni comprime, sta diventando un nodo del dibattito politico. E, forse, può diventare un tema di iniziativa politica, iniziativa democratica soprattutto, legata alla partecipazione e allo sviluppo di un movimento di massa. Sugli aspetti tecnici e anche sulla necessità di mettere al centro la partecipazione democratica, in particolare dal basso e a livello locale, hanno ben scritto Guido Viale e Francesco Gesualdi. Vale la pena rafforzare quelle analisi con uno sguardo più generale perché anche in Europa il tema dell’audit, in funzione di una ristrutturazione, rinegoziazione o annullamento del debito pubblico illegittimo, sta diventando un elemento dell’attività di associazioni, sindacati e partiti. In Francia, ad esempio, l’appello rilanciato in Italia da Rivolta il debito ha già superato le 50 mila adesioni mentre in Belgio, solo pochi giorni fa le associazioni Attac e Cadtm – in prima linea nell’impegno per l’annullamento del debito illegittimo – hanno presentato un ricorso legale al Consiglio di Stato per annullare gli aiuti da 54 miliardi di euro deliberati dal governo transitorio – da oltre un anno – a favore della banca Dexia (già fallita una volta e salvata dallo Stato e ora di nuovo a rischio fallimento). Ma l’attività più interessante è forse quella realizzata in Grecia dove un Comitato è stato insediato circa un anno fa e una vera e propria campagna ha accompagnato le mobilitazioni degli ultimi mesi. Come scrive uno dei fondatori del comitato greco, George Mitralias, la campagna ha contribuito a precisare «le ambizioni e la missione delle campagne per l’audit del debito pubblico» ben sapendo che l’Unione europea «non è l’Ecuador di Rafael Correa», dove l’audit è stato effettuato con successo nel 2007.

È bene non nascondersi questo aspetto, per non peccare di ingenuità o di astrattezza degli

obiettivi: non esiste, al momento, una forza politica, nazionale o europea, in grado di farsi carico della proposta. Che quindi compete a un’iniziativa autodeterminata e autorganizzata. Del resto, un movimento che ponesse la questione della trasparenza del debito e la sua gestione democratica porrebbe già un problema di democrazia e di partecipazione alternative all’autoritarismo di cui è intrisa la costruzione europea e la politica della troika (Ue, Bce, Fmi). Ma contribuirebbe anche ad affermare un principio semplice e complicato allo stesso tempo: il debito non è un dato inspiegabile e nemmeno un totem a cui sacrificare il modello sociale europeo. Se lo si guarda in profondità si legge la materialità delle politiche economiche degli ultimi venti-trenta anni e la stratificazione delle diseguaglianze.
Per questo non è un affare per soli esperti. E proprio per gli ostacoli che un’indagine seria, competente, indipendente, potrebbe avere, l’audit non avrebbe senso, né efficacia, senza una mobilitazione diretta, una partecipazione attiva e una consapevolezza diffusa. In questo senso va sviluppata l’idea dei comitati locali per l’audit, che si muovano a partire dai debiti locali, indagando come funzionano gli enti locali, le società di servizio pubblico ma anche le imprese private dove spesso i lavoratori si vedono mettere alla porta, o in cassa integrazione, per ragioni di bilancio. Tutto questo può e deve divenire oggetto di una campagna diffusa in cui si affermi l’idea che lavoratori, studenti, precari, cittadini e cittadine sono in grado di occuparsi del proprio futuro e in grado di gestire consapevolmente anche le tematiche economiche e di bilancio. In Grecia, ad esempio, la diffusione dell’iniziativa ha permesso anche di creare un’iniziativa specifica di donne «contro il debito e l’austerità». Insomma, l’audit deve e può rappresentare un’occasione di dibattito ampio e di iniziativa di partecipazione e anche di autodeterminazione. Ma, appunto, senza nascondersi la dimensione globale della gestione della crisi, la proposta, se vuole collegare la resistenza all’austerità su scala internazionale, per lo meno europea, deve darsi anche una dimensione sovranazionale. Del resto, il ritardo con cui i movimenti sociali, i sindacati, le forze della sinistra, si muovono su scala mondiale e regionale, in un mondo dominato dalla globalizzazione, è più che colpevole e la stessa esperienza fatta dieci anni fa con i Social forum sembra essersi diradata. Un’iniziativa verso l’audit, anche su scala europea, è la spinta che sta cercando di dare il Cadtm, il Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo che ha organizzato a metà dicembre a Liegi, un seminario ad hoc sul tema in cui un contributo notevole è stato offerto dalla relazione di Maria Lucia Fattorelli (disponibile in italiano su www.rivoltaildebito.org e su www.cnms.it/campagna_congelamento_debito). Un testo in cui è disponibile un dato finora sfuggito alla grande informazione (ne ha parlato in un articolo Riccardo Petrella): l’impegno astronomico da parte della Fed statunitense, tra il 2007 e il 2010, per salvare dal crack le grandi banche e le grandi imprese. Circa 16.000 miliardi di dollari (più dell’intero debito pubblico Usa stimato in 14.500 miliardi di dollari) spesi segretamente e dirottati su aziende come Merrill Lynch, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Citigroup, Bank of America ma anche, in un mondo globale, Deutsche Bank, Credit Suisse, Royal bank of Scotland, Ubs e Bnp Paribas. Il dato è stato reso pubblico il 21 luglio scorso, guarda caso da un… audit istituzionale realizzato dal Government Accountability Office, una commissione di inchiesta del Congresso Usa incaricata della contabilità pubblica.
Oltre a rendere evidente come il servizio del debito sia un affare «molto redditizio» per il sistema finanziario privato – i cosiddetti “mercati” che impongono le manovre di austerità – questa informazione chiarisce meglio l’impatto che potrebbe avere su una ampia opinione pubblica una procedura di indagine accurata sui debiti sovrani. L’operazione va però fatta anche sui bilanci delle banche, di cui non è mai stato reso pubblico, finora, l’ammontare dei titoli tossici detenuto (informazione ben conosciuta dai tecnocrati europei oltre che dai dirigenti delle banche stesse e che spiega la gran parte delle manovre finanziarie). Lungi dall’essere recuperato, il debito pubblico viene quindi ancora alimentato dalle nuove manovre di salvataggio. «Un audit del debito – scrive Fattorelli – rappresenta una opportunità per ottenere la documentazione relativa all’indebitamento e per mostrare la vera natura di ciò che viene chiamato pubblico. I risultati dell’audit possono spingere delle azioni concrete in tutti i campi: popolare, parlamentare, giuridico e la messa in opera di politiche differenti”.
Gli aspetti di trasparenza, di partecipazione democratica, di svelamento della natura privata del debito pubblico, non sono ovviamente fini a se stessi ma servono a definire una politica alternativa a quella dominante ben sapendo che nella prima ricaduta operativa dell’audit, cioè la rinegoziazione e/o l’annullamento del debito illegittimo, risiede una prima misura di grande portata. Annullare o ridurre (il nobel Roubini propone di ristrutturare il debito riducendone il valore almeno del 25 per cento) significa far pagare una “vera” patrimoniale a tutta quella montagna di fortune accumulate illecitamente o indebitamente: evasione fiscale, profitti a man bassa, interessi privati, rendite finanziarie, somme detenute all’estero e in paradisi fiscali, etc. Patrimoni che, secondo il premier Mario Monti, non si possono misurare e quindi colpire ma che se fossero intaccati significativamente da un’operazione sul debito potrebbero finalmente contribuire, come è giusto, a risanare i conti pubblici ma soprattutto a redistribuire significativamente il reddito, l’unica via d’uscita dalla condizione attuale. Ma per far questo serviranno anche politiche alternative robuste come la nazionalizzazione delle banche, la riforma fiscale, la riduzione dell’orario di lavoro, l’istituzione di un reddito sociale, un ampio intervento di risanamento del territorio.
L’audit, quindi, non è una proposta “tecnica” o un espediente da economisti e/o esperti ma uno strumento politico per una iniziativa di massa. E a questo punto vale la pena avanzare una proposta precisa: coloro che sono d’accordo nel cimentarsi con questa ipotesi, firmatari dei vari appelli circolati in queste settimane, decidano rapidamente di incontrarsi per capire quale proposta concreta avanzare e quale piano di lavoro comune è possibile approntare. L’urgenza della crisi, la natura epocale dei cambiamenti in atto richiede una capacità supplementare di iniziativa e una innovazione delle idee e delle pratiche. Vale la pena provarci.

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