Il Bilancio Comunale e la logica dei “sacrifici”

Il Bilancio Comunale e la logica dei “sacrifici”, di Nando Ioppolo

Il bilancio del comune di Milano presenta “buchi”, sia pregressi che per le partite correnti, che sono talmente vasti da rendere irrealistico parlare di risanamento: 948.000.000 (1.048.000.000, calcolando 100 mln in meno di IMU rispetto alla ICI, v. appresso) su 4.984.667530 totali non si possono recuperare semplicemente risparmiando qua e là o vendendo pezzi di patrimonio comunale, che oltretutto danno reddito, quali immobili e partecipate. Anche perché non si vede come potere poi affrontare gli anni futuri, dal momento che la presumibile progressione dell’indebitamento viaggia tra i 300 e i 500 mln annui, cui dobbiamo aggiungere gli ulteriori tagli che dovrebbero essere varati per l’effetto combinato del patto di stabilità con il fiscal compact.

E’ evidente, peraltro, che il nostro bilancio non soffre di eccesso di spese quanto di carenza di entrate. Dal centro, infatti, non solo ci vengono 453.500.000 mln di contributi in meno per le spese in conto capitale, ma quel che più colpisce è che i contributi per quelle correnti ammontano a solo 1.130.172.410, costringendoci a usare 1.353.172.410 provenienti dalle nostre esclusive tasche: 256.700.000 mln di tasse locali e 1.096.210.570 provenienti dal nostro patrimonio locale, come se si trattasse di entrate statali e non locali. E la situazione tende a peggiorare. Si pensi, ad esempio, che mentre la IMU che è stata introdotta in cambio della ICI peserà sui milanesi circa il 50% in più, darà al nostro Comune un gettito circa 1/3 minore, togliendo altri 100 mln circa alle nostre fonti di finanziamento collettive e portando il nostro “buco” a un totale di 1.048.000.000! La situazione richiede pertanto un Audit per analizzare con precisione la situazione, riscontrando con attenzione tutti i documenti contabili giustificativi. Solo così sarà possibile individuare gli spazi effettivi di manovra all’interno dei vari capitoli di spesa. Le stime disponibili sugli sprechi della casta politico-ammnistrativa, infatti, danno a livello nazionale una percentuale tra il 5% e il 10% della spesa pubblica complessiva e ove le stesse percentuali fossero riscontrabili anche a livello locale, con una Audit si potrebbe individuare almeno una parte delle inefficienze, il cui totale teorico dovrebbe situarsi i 250 e i 500 mln. Come si vede bene, però, si tratta di una operazione che fatica estremamente a essere portata avanti a livello nazionale e, pertanto, non è realistico attendersi successi consistenti nemmeno a livello locale, tanto più che non cambierebbe la sostanza del problema nel momento in cui si recuperassero solo 50-100-200 mln dei 500 annui necessari. L’audit è però comunque estremamente opportuna a fronte di una situazione così drammatica, se solo si pensa che in nome dei “buchi” di bilancio si tende a praticare tagli “orizzontali” anziché “mirati” ed a rifiutare il potenziamento del welfare locale. Ed invece, assegni integrativi annui da € 7.500,00 che venissero attribuiti ai 20.000 capi famiglia milanesi più in difficoltà (5% del totale) costerebbero solo 150 mln sui quasi 5 mld di bilancio comunale complessivo, mentre circa 100 mln si sprecano ogni anno in interessi bancari del 15-20% pagati per 600.000.000 di anticipazioni di cassa, laddove tenendo una cassa “consolidata” pagheremmo solo il 3-4%, ovvero circa 20 soltanto. E questa è una realtà diffusa tra tutte le amministrazioni pubbliche, locali e centrali. S’impone pertanto un Audit per ogni bilancio pubblico di un certo rilievo, perché il debito pubblico è il “ventre molle” della nostra società. E le varie Audit, nazionali e straniere, si collegheranno tra loro per una politica comune contro i tagli indiscriminati chiesti dalla UE e dagli ambienti finanziari. In buona sostanza, il nostro debito milanese, al pari di tutte le altre componenti del debito pubblico nazionale, è così grande che non ha senso fare sacrifici inenarrabili per risparmiare somme sufficienti solo per rallentare la velocità del suo aumento. Tanto meno ha senso se questo risparmio è fatto sul welfare! I debiti sono talmente tanti, infatti, che non ha nessun senso pratico/politico risparmiare senza criterio e senza salvare la giustizia sociale. L’Italia, del resto, ha un PIL inclusivo del “nero” che è stimato intorno a 2000 mld ed ha un debito pubblico complessivo che è anch’esso intorno a 2000 mld. Il patrimonio nazionale effettivo sfugge dal canto suo alle stime, specialmente il patrimonio mobiliare. Una recente relazione della banca d’Italia lo stima intorno a 10.000 mld, ma non può trattarsi di stima attendibile, poiché implicherebbe che il rendimento medio del nostro patrimonio fosse del 20%, laddove anche una stima dieci volte inferiore sarebbe troppo generosa. Paragonando lo stato italiano a una famiglia di 4 persone che guadagna un reddito che cresce ininterrottamente da trenta anni e che oggi, tra “chiaro” e “nero”, ammonta a circa € 100.000 l’anno, ed ha pure messo da parte e/o ereditato un patrimonio complessivo stimato tra 500.000 e 5 mln, chiediamoci perché mai dovrebbe allarmarsi per avere contratto un debito di 100.000 euro che oggi cresce di 5.000 euro l’anno. Chiediamoci pure perché dovrebbe allarmarsi la sua banca mutuante, e, per giunta, chiederle per questo uno spread del 4-5% o perfino rifiutarsi di accordare altro credito. Se poi anche fosse, nella peggiore delle ipotesi a questa famiglia basterebbe cederle la metà di uno dei 3 o 30 appartamenti che possiede, per equilibrare i propri conti! Tanto più che non si preoccupa il Giappone, che è una “famiglia vicina” che se guadagna € 200.000 l’anno e ha un patrimonio da 1 a 10 mln ha pure un debito di € 560.000 (280%). Qual è dunque il senso di gravare di sacrifici i soli consumi popolari, quando questi sacrifici sono quantitativamente inadeguati? Qual è poi il senso quando per giunta sono recessivi, per cui sacrifici popolari per 100 provocano una contrazione recessiva del PIL pari a circa 4 volte tanto (400), e, conseguentemente, una contrazione delle entrate tributarie pari a circa 160 (ovvero il 40%di 400)? Il senso è che i ceti possidenti sono assolutamente contrari a contribuire di tasca propria con un solo euro, anche se solo i sacrifici gravati sulle fasce alte di reddito non sono recessivi. Preferiscono di gran lunga che ogni volta si gravino di sacrifici solo le fasce sociali medio-basse, e che lo si faccia nuovamente quando il rapporto debito/PIL peggiora a causa degli effetti recessivi così indotti, e così pure la volta successiva, all’infinito. E’ questo il governo “tecnico” che ci ritroviamo? Intanto, con la scusa del debito da contenere, gli ambienti più retrivi del capitale riescono a fare passare tutte le riforme anti-sociali loro gradite e che mai sarebbero passate altrimenti, quali la elevazione della età pensionabile, la riforma dell’art. 18, e simili. Il “risanamento”, infatti, funziona benissimo per inibire ogni resistenza sociale, purchè, ovviamente, le organizzazioni di massa dei lavoratori e i partiti dei dominati si uniscano alla tremenda copertura omertosa della verità che viene dispiegata dalla scienza e dai media e nonostante trasmissioni che l’hanno chiaramente denunciato, quale Report del 22.04.2012. Ed è pure incredibile come possano passare bugie di questa portata! Basti infatti chiedersi, se il deficit-spending consiste in debito aggiuntivo che viene acceso per finanziare una spesa pubblica aggiuntiva che promuova investimenti, occupazione e PIL, quali effetti mai dovrebbero provocare i tagli della spesa pubblica praticati per rimborsare debito pubblico, se non l’esatto contrario, ovvero il calo recessivo di investimenti, occupazione e PIL! La verità, del resto, è ancora più inquietante, poiché dal ’45 ad oggi nessun debito pubblico è mai stato rimborsato da nessun paese nemmeno in parte, ma è sempre aumentato in valore assoluto. Il deficit-spending, pertanto, è in realtà, e da sempre, finanza “allegra” al 100%, poiché per nullificare la moneta creditizia che viene creata elettronicamente per finanziare il debito pubblico non basta la sua teorica rimborsabilità, ma il suo rimborso effettivo! Ne discende che non c’è nessuna ragione per rimborsare i debiti pubblici. Meno che mai, per fare sacrifici per rimborsarli. Mai, infine, per fare sacrifici recessivi. Nessun senso, poi, ha pretendere interessi alti da un creditore che non può fallire, tanto più che a un creditore di dubbia solvibilità non si maggiorano gli interessi, ma semplicemente non si presta più nulla. Allo stesso modo, infine, non ha senso per nessun paese farsi prestare ad alto interesse il denaro che può creare elettronicamente da sé o farsi prestare a costo zero dalle banche pubbliche. Perché allora abbiamo privatizzato bipartisan a partire dal ’94 le nostre 4 banche pubbliche collocatarie a prezzi sottomultipli dei soli bot ivi collocati, al fine dichiarato di … “fare cassa”? Perché la BCE non presta direttamente anche ai vari Tesoro tutti gli euro che loro servono per i debiti pubblici nazionali a tasso minimo, o, almeno, a quello stesso 1% cui li presta alle banche della euro-zona? Per noi questo significherebbe una riduzione del peso degli interessi sui bot da oltre 80 mld l’anno a soli 10-20! E se poi volessimo per forza ridurre il debito pubblico senza contrarre gli sprechi della casta (stimati tra 25 e 50 mld) e senza combattere la grande evasione (stimata sui 2-300 mld), basterebbe gravarne il peso sui ceti possidenti, introducendo una patrimoniale e riportando al 72% l’aliquota massima IRPEF ribassata al 43% nel 1982, lo stesso anno in cui decidemmo la autonomia della nostra BdI, che ci ringraziò maggiorando come prima sua decisione i tassi sui bot. E’ da allora che il nostro rapporto debito/PIL ha preso a peggiorare al ritmo del 3-5% annuo, passando dal 55% intorno a cui stazionava dal ’72 all’81, al 124% nel 2004 e attestandosi tra lacrime e sangue al 120% di oggi. Dovremmo invece chiamare il popolo milanese alla lotta contro i “sacrifici” recessivi, sia locali che nazionali, ricontrattando con il centro i contributi “di ritorno” e facendo un serio e approfondito audit, nominando allo scopo dei tecnici che abbiano pieni poteri di indagine e riferiscano alla giunta. In ogni caso, invece di vendere cespiti redditizi, dovremmo comprarne di nuovi, meglio se in settori ad altissima intensità di capitale quali il settore bancario, quello assicurativo e della telefonia mobile e fissa, gestiti in forma di partecipate comunali. E insieme potenziare il welfare comunale e stimolare la Milano agroalimentare in forma associata e/o convenzionata, scavalcando l’ingrosso con vantaggio sia per le imprese del territorio che per le massaie milanesi. nando.ioppolo@circolodegliscipioni.org

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